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Comunità Maria Famiglie del Vangelo
Presentazione del Progetto CMFV
Le Comunità Maria Famiglie del Vangelo (CMFV) nascono in quest’orizzonte di crisi come un percorso di speranza.
Dal Libro “Chiesa come famiglia” di mons. Domenico Sorrentino
(Introduzione, pp. 5-8)
Crisi di fede. Crisi di valori. Crisi di relazioni. La parola crisi, di questi tempi, si spreca. Ne fa esperienza anche la pastorale. Dalla crisi delle famiglie alla crisi delle parrocchie.
Le Comunità Maria Famiglie del Vangelo (CMFV) nascono in quest’orizzonte di crisi come un percorso di speranza.
Si tratta di un cammino nato nella terra del Poverello. Nella sostanza, nulla di particolarmente originale, dato che molti percorsi analoghi, con diverse denominazioni, si vanno diffondendo e sviluppando nella Chiesa. Segno dei tempi e dono dello Spirito, ad Assisi ha preso avvio dalla riflessione sull’esperienza di Francesco, in occasione dell’ottavo centenario della sua conversione (2006). La diocesi scandì allora il suo piano pastorale su tre grandi parole: contemplazione, comunione, missione. Al centro fu messo il Vangelo. Di qui un programma sistematico di ascolto della “bella notizia”, con una serie di iniziative miranti a rendere le comunità cristiane sempre più familiari della Parola. Seguendo poi ancora le orme del Poverello, secondo quanto egli stesso scrive nel suo Testamento (“Il Signore mi diede dei frati”), si è riscoperto il valore della fraternità che nasce dal vangelo. E nella Porziuncola, la piccola chiesa mariana a lui tanto cara, si è ritrovato quel “simbolo”, e, ancor più, quel “calore materno”, con cui perseguire l’ideale della Chiesa-famiglia.
In questo itinerario è diventata sempre più evidente una cosa: nel clima di “slegamento” in cui versa la nostra società, a partire dalla famiglia, con inevitabili contraccolpi anche sulle comunità cristiane, lo stesso rapporto con la Parola perde di efficacia. Siamo stati così spinti a riflettere sull’esperienza originaria, mettendo a fuoco come il vangelo si è propagato negli anni del ministero di Gesù: c’è una predicazione del Maestro, che è rivolta a tutti, seminagione sui più diversi terreni. Gesù stesso poi approfondisce la sua predicazione spezzando la “Parola” a misura d’uomo, e di famiglia, nel piccolo gruppo dei dodici. La stessa Parola riproposta nel “tu a tu” della relazione. È il “metodo-Gesù”.
In modo analogo ci si regolò nella prima evangelizzazione compiuta dagli apostoli, sia nella Chiesa di Gerusalemme, che nella missione ai gentili. La predicazione era rivolta a tutti, ma la vita dei discepoli, anche per le esigenze pratiche dovute all’assenza di edifici di culto, si svolgeva in piccole comunità che si radunavano nelle case. Incontrandosi tra fratelli in piccoli numeri – chiese domestiche – era più facile stabilire rapporti improntati al senso della famiglia.
Abbiamo così riscoperto la dimensione “familiare” della vita cristiana. Una dimensione riscoperta anche dalla teologia, nel quadro dell’ ecclesiologia di comunione rilanciata dal Concilio Vaticano II.
Purtroppo il modo con cui si è sviluppata la pastorale nei secoli di “cristianità” non ha favorito questo clima di famiglia. Tante aggregazioni lo supponevano e lo richiamavano, dalle congregazioni religiose alle confraternite. Ma i numeri più o meno grandi di fedeli appartenenti a una comunità parrocchiale non lo rendevano facile. La parrocchia, articolazione di base, e non superata, della pastorale, si è mostrata adatta più ad esperienze di massa che agli incontri di tipo familiare.
Questo poteva non essere un gran problema nei secoli passati, quando teneva abbastanza – pur fra tante fragilità – il tessuto sociale. Era il tempo in cui il matrimonio era solido, nelle sue prerogative di indissolubilità e apertura alla vita, e la rete delle famiglie allargate costituiva un clima comunitario del quale anche la pastorale si avvantaggiava.
La situazione oggi è totalmente diversa. La frammentazione tocca tutti gli aspetti della società, a partire dal nucleo familiare. Di qui l’esigenza di un rinnovamento profondo della pastorale e in particolare del modello parrocchiale. Tra gli aspetti decisivi di tale rinnovamento c’è l’urgenza di “ritessere”, con la forza propria del vangelo, i rapporti tra le persone. Ne va dell’esperienza stessa della Chiesa: forse in questo la nostra Europa può apprendere dalla Chiesa di altri continenti: “la Chiesa come Famiglia potrà dare la sua piena misura di Chiesa solo ramificandosi in comunità sufficientemente piccole per permettere strette relazioni umane” (Ecclesia in Africa n.89).
Anche la nuova evangelizzazione si gioca molto sulla sua capacità di tessere comunione tra le persone. Ciò vale in primo luogo per le famiglie in senso proprio, quelle costituite sulla base del matrimonio-sacramento. Ma le famiglie “spirituali” sono altrettanto importanti, perché esprimono e alimentano in modo eloquente la relazione ecclesiale. Esse includono le famiglie “coniugali”, ma accolgono anche altri cristiani non legati da vincolo matrimoniale o propriamente familiare. È il modello vissuto da Gesù stesso e sperimentato nella prima ora del cristianesimo. “Chi fa la volontà di Dio, costui per me è fratello, sorella e madre” (Mc 3, 35). Quel modello originario resta esemplare: si tratterà ovviamente di adattarne le forme, ma la formula, che ha affrontato con successo la prima evangelizzazione e la prima “implantatio ecclesiae” nell’immenso e accidentato terreno della cultura pagana, non ha perso nulla della sua attualità. È una grande risorsa da rimettere in campo per la nuova evangelizzazione.
Le CMFV partono da questa convinzione. Scommettono su questa vitalità dell’esperienza originaria.
Occorre subito precisare che non vogliono in alcun modo essere una nuova aggregazione o movimento. Si identificano con la parrocchia stessa. Essa è sollecitata ad “articolarsi” in tante piccole comunità, che vivono un cammino di fede e di sostegno reciproco tra i loro membri, mettendosi in rete con altre comunità e partecipando regolarmente alla vita parrocchiale (e naturalmente diocesana!). Si tratta di far diventare la parrocchia una “famiglia di famiglie”, o una “comunione di comunità”, per usare termini correnti in diversi documenti ecclesiali.
L’icona a cui si guarda è quella della prima comunità di Gerusalemme descritta dagli Atti degli Apostoli. È una proposta di crescita soprattutto per quanti già partecipano alla vita parrocchiale, ma che può diventare un grande aggancio anche per cristiani che hanno perso la fede, e desiderano “ricominciare”, o per altri che si aprono per la prima volta all’annuncio. Per i cristiani più inseriti che fanno già esperienza di “lectio divina” o frequentano Centri di ascolto della Parola, si tratta di passare dallo stadio dell’approfondimento della Scrittura a quello di una Parola vissuta comunitariamente, attraverso un patto di fraternità che lega un gruppo tra 8 – 12 persone, e le aiuta a vivere come “famiglia spirituale”, con intensità di rapporti fraterni, senza chiusure e in totale sintonia con il cammino parrocchiale e diocesano.
Un progetto da comprendere
Crisi o Kairòs?
Dobbiamo resistere alla tentazione di sentirci un esercito in rotta
Cerchiamo di leggere la situazione della Chiesa e della società, per chiederci che cosa il Signore si aspetta da noi.
Siamo una società in crisi. Ma la crisi non è solo un fatto negativo e problematico. Può essere occasione di crescita. Può diventare “kairòs” (termine biblico), cioè tempo di grazia.
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Un progetto da comprendere
Pastorale “della” famiglia e pastorale “di” famiglia
Una conseguenza pastorale
Dal quadro generale dell’interrelazione tra “famiglia come Chiesa” e “Chiesa come famiglia” scaturisce un principio di metodo, che è stato decisivo nella prima evangelizzazione e torna di particolare attualità per la nuova evangelizzazione: la pastorale della famiglia dev’essere ben curata, ma il modo migliore di realizzarla è fare a monte una “pastorale di famiglia”, ossia una pastorale che miri a promuovere la dimensione-famiglia che caratterizza la Chiesa stessa.
Un progetto da comprendere
Domus ecclesiae
Come agli inizi ...per ripartire
Proviamo pertanto a mettere a fuoco la prima comunità cristiana. Come si può supporre, se la comunità di Gerusalemme descritta da Luca poteva vivere “mettendo tutto in comune”, questo non avveniva in assemblee di grandi numeri, ma in gruppi di persone che si ritrovavano nelle case, pur restando “in rete” con gli altri gruppi di fratelli.
Un progetto da comprendere
Dentro la Chiamata della Chiesa
Le indicazioni del Magistero sull'evangelizzazione
Evangelizzare è la vocazione propria della chiesa – La nuova evangelizzazione – I tre ambiti dell’evangelizzazione – Chiesa tutta missionaria – Parrocchia famiglia missionaria – La piccola comunità di evangelizzazione
Comunità Maria Famiglie del Vangelo
Le Comunità Maria Famiglie del Vangelo
O Gesù, nostro amore, nostro tutto, nello Spirito Santo, con Maria e in Maria, noi ci consacriamo a Te.
O Gesù, nostro amore, nostro tutto,
nello Spirito Santo, con Maria e in Maria,
noi ci consacriamo a Te.
O Maria,
da Gesù Crocifisso
ti accolgo come Madre mia.
FAMIGLIA DEL VANGELO: OSSIA INCENTRATA SU GESU’
Il riferimento al vangelo ha qui una valenza molteplice.
1. Il primo senso: il vangelo non è soltanto un libro, ma una “bella notizia”, un annuncio, un messaggio. Vivere nella Chiesa, e, concretamente, nella parrocchia, secondo la linea spirituale qui proposta, vuol dire essere raggiunti vitalmente da questo annuncio ed insieme esserne portatori e testimoni. Una dinamica esistenziale e missionaria: l’evangelizzazione sta al cuore delle CMFV.
2. Un secondo senso: il vangelo è bella notizia che non solo è data da Gesù, ma si identifica con Lui. È Gesù la bella notizia. È Lui che il Padre ci dona come salvatore , anzi come persona-salvezza. La salvezza non è qualcosa, ma qualcuno. “Chi rimane in me e io in lui porta molto frutto, perché senza di me non potete far nulla” (Gv 15, 5). Siamo chiamati tutti a dire, e ad esprimere, come Paolo, il mistero di Cristo in noi: “Non vivo più io, ma Cristo vive in me” (Gal 2,20).
3. Un terzo senso indica il vangelo anche come testo ispirato. Se l’ignoranza della Scrittura – come ammoniva s. Girolamo – è ignoranza di Cristo, non possiamo conoscere Cristo e vivere di Lui se non tornando continuamente alle sue parole, che sono principalmente quelle del Vangelo, ma, in modo più generale, quelle dell’intera Bibbia, giacché tutto porta a Cristo e si irradia da lui. Per questo la preghiera delle CMFV – preghiera-programma – non è altro che il rinnovo della consacrazione battesimale a Gesù riconosciuto come senso della nostra vita:
O Gesù, nostro amore, nostro tutto,
nello Spirito Santo, con Maria e in Maria,
noi ci consacriamo a Te.
Tu, amore e splendore del Padre,
sei la nostra gioia, il nostro canto,
la nostra speranza, tutto il nostro bene.
VIVERE IN GESÙ, VIVERE DI GESÙ
La nostra vita, in questa intimità con Gesù, è chiamata ad assumere il volto stesso di Gesù: i suoi pensieri, i suoi valori, i suoi sentimenti, la sua stessa croce. Una vita di amore, che si esprime nel “comandamento nuovo” dell’ amore fraterno modellato su quello di Gesù: “Amatevi come io vi ho amato” (Gv 15,12)
Dacci di vivere con la tua vita, di amare col tuo cuore,
di pensare con i tuoi pensieri, di sentire con i tuoi sentimenti,
di vedere con i tuoi occhi, di soffrire con la tua croce:
sii tu a vivere in noi.
Paolo esprime questo concetto facendo riferimento all’esempio di Gesù, nell’inno cristologico della lettera ai Filippesi (Fil. 2,6-11). Cristo si è “svuotato”, o “spogliato” del suo splendore divino, per farsi obbediente fino alla morte di croce. I nostri sentimenti di altruismo, di comunione, di generosità, devono somigliare a quelli di Cristo.
Il battesimo ha espresso e realizzato misticamente tutto questo, facendoci “morire” e “risorgere” con Cristo. In Cristo sono morti i nostri peccati. La vita di peccato non ci appartiene. Peccare è ritornare alla morte. L’ideale della vita cristiana è quello espresso da Paolo nella lettera ai Galati: “sono stato crocifisso con Cristo, e non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me” (Gal 2,20).
Rimanendo in Gesù, la nostra vita è ricca di frutti. Il rapporto con il Padre è così intimo, che acquista la forza stessa della preghiera di Gesù: “chiedete quello che volete e vi sarà fatto” (Gv. 15,7). Siamo chiamati a rimanere nell’amore che il Padre ha per Gesù, e Gesù ha per noi. Tutto ciò perché abbiamo “gioia”, e la nostra gioia sia “piena”: è la gioia stessa di Gesù in noi (Gv 17,13).
UNA VITA DI AMORE
Insegnaci a spenderci con te,
senza misura,
per i nostri fratelli,
a fare della nostra vita un dono di amore,
a vederti sempre e dappertutto, soprattutto in chi soffre.
Il giudizio finale avverrà sull’amore (Mt. 25,31-46). Dovunque c’è un uomo che soffre – affamato, assetato, malato, nudo carcerato … – lì Gesù pone la sua dimora speciale, da lì ci chiama. Della nostra capacità di servirlo e amarlo nei fratelli ci chiederà conto.
E ci viene detto che questo vale, in positivo o negativo, senza la necessità che abbiamo preso o meno coscienza di questo incontro con lui. Amare è già incontrarlo, non amare è rinnegarlo. Le CMFV vogliono essere famiglie che si fanno carico della sofferenza, facendosi anche luoghi di accoglienza concreta delle povertà.
La prima lettera di Giovanni spiega tutto questo a partire dal concetto che Dio è amore, e dunque si incontra nell’amore. “Chi non ama non ha conosciuto Dio, perché Dio è amore” (1Gv 4,8). Quell’amore che Dio ha dimostrato a noi, dev’essere da noi irradiato. E questo non a parole e con la lingua, ma nei fatti e nella verità, anche condividendo le ricchezze materiali.
I TRATTI DELL’AMORE
Insegnaci […]
ad essere in ogni momento,
col sorriso e la pazienza,
la misericordia e il perdono,
e la condivisione di ciò che abbiamo,
i testimoni del tuo amore,
i banditori della tua gioia.
Il sorriso, espressione della gioia del cuore, fiorisce naturalmente sulle labbra di chi ha accolto il vangelo. Nelle CMFV ci si impegna a “sorridere”, non con il sorriso stampato delle pubblicità, ma con quello che parte dal cuore.
La gioia portata da Gesù è costantemente messa alla prova dai pesi della nostra esistenza, e in particolare dalle difficoltà che gli altri pongono a noi e noi poniamo agli altri con la nostra cattiveria. Allora riprendono vigore nell’animo reazioni di asprezza, di diffidenza, di rancore. Ci difendiamo o offendiamo con violenza.
Il vangelo ci chiede di convertire tutti questi sentimenti in espressioni di amore, che fanno leva sulla misericordia che tutti abbiamo ricevuto, per essere a nostra volta testimoni di misericordia. Il perdono è l’atto più difficile richiesto a un cristiano, ma Gesù ce lo chiede, proprio come espressione del fatto che siamo suoi discepoli: “Se amate quelli che vi amano, quale ricompensa ne avrete? Non fanno così anche i pubblicani? “(Mt 5, 46).
La vita di famiglia delle CMFV vuole essere un luogo concreto in cui ci si allena all’amore. Sorriso, pazienza, misericordia e perdono sono gli ingredienti della fraternità. Ma anche la condivisione dei beni, come avveniva nella Chiesa primitiva. La gioia di stare insieme come fratelli deve spingere a quelle forme concrete di carità che riportano la gioia sul volto dei fratelli in difficoltà. In questo modo si diventa testimoni dell’amore e banditori della gioia.
UN CUOR SOLO E UN’ANIMA SOLA
vivere l’uno per l’altro amarci come ci ami tu,
essere un cuor solo e un’anima sola.
L’amore reciproco, modellato su quello di Gesù, è il distintivo dei cristiani. “Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli” (Gv 13,35).
In una famiglia l’uno si prende cura dell’altro. Tanti piccoli gesti – cercarsi, parlarsi, telefonarsi – e mettere a disposizione per quanto possibile il proprio tempo e i propri beni materiali per il fratello, sono espressioni di una fraternità autentica.
I membri delle CMFV, lungi dal chiudersi in for- me di intimismo spirituale ed ecclesiale, sentono che la forza dell’essere un cuor solo e un’anima sola si esprime anche verso l’esterno, come il movimento cardiaco di sistole e diastole, nell’impegno per edificare la società, secondo i valori della giustizia, della pace, della solidarietà, a favore soprattutto dei più poveri. La formazione alla dottrina sociale della Chiesa e la sua pratica nella vita di ogni giorno è parte integrante di questo grande ideale.
L’IDEALE DELLA SANTITA’
vivere l’uno per l’altro
perché tu viva tutto in ciascuno di noi.
Gesù non può essere diviso: il suo messaggio va accolto integralmente. Al tempo stesso la nostra vita non può essere divisa: non possiamo essere cristiani in alcuni momenti e comportarci da non cristiani in altri. Nella prima lettera ai Tessalonicesi questa “totalità del nostro essere” viene espressa con i tre termini “spirito, anima e corpo”: tutto deve essere “santificato” (1Ts 5,23).
Il vivere l’uno per l’altro che si coltiva nelle CMFV ha innanzitutto questa finalità: deve aiutarci ad accogliere Cristo interamente e in “tutta” la nostra vita (perché tu viva tutto in ciascuno di noi). Ciò attraverso l’edificazione vicendevole, l’esortazione, la revisione di vita, la correzione fraterna. “La parola di Cristo abiti in voi… istruitevi e ammonitevi a vicenda con salmi, inni e canti ispirati, con gratitudine, cantando a Dio nei vostri cuori” (Col 3, 16). Pregare ogni giorno con la preghiera di consacrazione gli uni per gli altri è un modo privilegiato di vivere questo impegno.
L’obiettivo a cui dobbiamo mirare è la santità. Il Concilio Vaticano II, nella Lumen Gentium, ha sottolineato la vocazione di tutti battezzati alla santità, ciascuno secondo il proprio stato di vita e la propria vocazione. Gira ancora troppo un’immagine di santità legata a vocazioni particolari come quella religiosa, o a fatti straordinari (grazie e miracoli), che non sono l’essenza della santità. Santità è far la volontà di Dio nella propria vocazione.
AFFIDATI ALLA MADRE
Dalla croce Gesù affida il discepolo amato – e in lui tutti noi – a Maria sua Madre.
Nel Cenacolo, il giorno dell’effusione dello Spirito Santo, con i discepoli c’è anche Maria. La Chiesa, in un certo senso, si trova tutta rappresentata da Maria. San Francesco chiamava la Madonna la “Vergine fatta Chiesa”. Le Famiglie del Vangelo si affidano a Maria e si sforzano di imitarla. Si chiamano per questo “ Comunità Maria” e ogni giorno si abbandonano alla sua tenerezza materna.
O Maria,
da Gesù Crocifisso
ti accolgo come Madre mia.
Mi chiudo nel tuo cuore,
mi consegno a Te, anima e corpo, pensieri, affetti e progetti,
perché il tuo sposo divino, lo Spirito Santo, Ruah,
mi rigeneri e trasformi in Gesù, a gloria di Dio Abbà. Amen